Prolasso uterino: gradi, sintomi, cause, rimedi ed intervento

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Dottoressa Laura Lombardo (Ostetricia) Consulente Scientifico:
Dottoressa Laura Lombardo
(Specialista in ostetricia)

Il prolasso uterino si ha quando l’utero lascia la sua posizione naturale e si sposta verso il basso. A seconda dello spostamento viene classificato in vari gradi. Ma quali sono le cause ed i fattori di rischio che possono causarlo? Quali sono i sintomi? Come possiamo riconoscerlo per evitare che peggiori e quali sono i rimedi? Vediamo quando è necessario ricorrere all’intervento chirurgico e quando, invece, non è necessario intervenire per migliorare la salute e la qualità della vita delle pazienti.

Cosa si intende per prolasso uterino?

Si parla di prolasso uterino quando l’utero, organo principale della zona pelvica, perde la sua posizione naturale e “scende” verso l’interno della vagina. Il prolasso avviene quando il pavimento pelvico, il sistema di sostegno dell’utero e di altri organi pelvici, perde la sua funzionalità per cause diverse.

Il prolasso dell’utero è una patologia che crea molti disagi alle donne che ne soffrono e si presenta generalmente dopo i 50 anni, mentre nelle altre età è meno frequente:

Talvolta, in concomitanza con il prolasso uterino, si verificano altre situazioni dovute alla medesima causa:

Approfondisci come si forma il cistocele e quali sono le possibili terapie.

Un pò di anatomia: utero e pavimento pelvico cosa sono?

L’utero è un organo prettamente femminile ed è situato nella piccola pelvi.

Prende contatto anteriormente con la vescica e posteriormente con il retto. Ha la forma di una pera rovesciata e la sua cavità interna in realtà è virtuale in quanto diventa tale solo in alcuni casi: quando accoglie il frutto del concepimento o viene distesa ad esempio da mezzi liquidi (es. durante l’isteroscopia).

E’ tenuto in sede da numerosi legamenti, che lo ancorano alle pareti e agli altri organi.

E’ costituito da:

Il pavimento pelvico.

Il pavimento pelvico chiude in basso il bacino e contiene gli organi pelvici. E’ costituito da muscoli laminati e legamenti e tessuto connettivo. Questi muscoli (il principale è il muscolo elevatore dell’ano con i suoi fasci) circondano gli orifizi genitali femminili: l’uretra, la vagina e l’ano. La sua funzione è, appunto, contenere e mantenere in sede gli organi pelvici e permettere il passaggio del corpo fetale durante il parto.

I gradi del prolasso.

Per valutare il grado e l’entità del prolasso, si usa la classificazione Half Way System secondo Baden e Walker.

E’ un tipo di classificazione utile non solo per valutare il grado di discesa dell’utero, ma anche per fare un confronto tra il prima e il dopo intervento e quindi per valutarne l’efficacia.

Questo schema prende come punto di riferimento le spine ischiatiche del bacino (i margini laterali ossei del bacino) e l’imene (membrana che ricopre l’ingresso del canale vaginale). In base a questi due parametri si valuta il grado di discesa dell’utero:

Cause e fattori di rischio della discesa dell’utero.

Le cause per cui le strutture di sostegno cominciano a cedere e l’utero non è più mantenuto nella sua posizione fisiologica e scende verso il basso possono essere varie, inoltre, esistono dei fattori di rischio che aumentano la possibilità che si presenti la malattia.

L’età e la menopausa.

Come abbiamo visto più si va avanti con l’età e maggiore è il rischio, in quanto vi è una fisiologica diminuzione della densità delle fibre muscolari. Con l’arrivo della menopausa, poi, cambia l’ambiente ormonale: l’abbassamento dei livelli di estrogeni causa una maggiore lassità dei legamenti e una progressiva atrofia del sistema di supporto del pavimento pelvico.

Gravidanze.

Le gravidanze rappresentano il maggiore fattore di rischio: l’utero che aumenta di dimensioni e il peso del bimbo mettono alla prova i legamenti e i tessuti di sostegno, stirandoli e indebolendoli. Il rischio aumenta proporzionalmente all'aumentare delle gravidanze e il disturbo si può presentare dopo il parto o negli anni successivi.

In alcune condizioni specificamente legate al parto, c’è un rischio aumentato di sviluppare la patologia in quanto vi è un maggiore stress per il sistema di supporto muscolare e legamentoso:

Figli grandi più di quattro kg.

Già il parto rappresenta un fattore di rischio. Ciò è ancor più vero quando si tratta di bimbi macrosomi, ossia con un peso alla nascita uguale o superiore a 4000-42000 gr; quanto più il feto è grande maggiore sarà lo sforzo che dovranno fare i legamenti per sostenere il peso.

Anomalie del connettivo.

In alcuni casi vi è una predisposizione genetica a una maggiore lassità del tessuto connettivo e del collagene e quindi dei legamenti. In questi casi si è maggiormente a rischio per prolasso uterino (es. Sindrome di Marfan).

Precedenti interventi sulla zona pelvica.

Interventi precedenti possono indebolire le strutture di sostegno.

Alcune condizioni specifiche, obesità, tosse cronica, malattie polmonari croniche, sollevare carichi pesanti, stipsi cronica sono tutti eventi che mettono a dura prova l’integrità del sistema di sostegno dell’utero e quindi possono più facilmente perdere la loro funzione nel tempo.

Sintomi del prolasso uterino: dipendono dal grado.

La sintomatologia del prolasso di grado avanzato è di solito abbastanza chiara e anche solo con una visita vaginale ci si rende conto della presenza della patologia.

I sintomi dei prolassi minori, invece, spesso sono leggeri o assenti e viene scoperto durante un controllo ginecologico di routine o per altri motivi.

Ad ogni modo, i sintomi sono:

Quando i sintomi sono presenti, spesso peggiorano passando molto tempo in piedi a causa della pressione che esercita la forza di gravità.

Come si effettua la diagnosi dello spostamento dell’utero.

Come abbiamo visto, quindi, il prolasso uterino non riguarda unicamente l’organo della riproduzione, ma colpisce anche gli organi vicini che risentono della patologia. E’ quindi importante una diagnosi chiara e soprattutto una scelta consapevole della terapia più adatta alla paziente.

Per fare una diagnosi corretta di prolasso uterino, c’è bisogno di valutare una serie di elementi:

A questi elementi vanno aggiunti alcuni esami strumentali come ecografia e risonanza magnetica che possono aiutare a capire il grado di severità del prolasso uterino e l’eventuale coinvolgimento di altri organi.

Che fare in caso di prolasso dell’utero?

Esistono varie opzioni di trattamento e la scelta dipende al grado del prolasso, dall'età della paziente, dal desiderio di avere dei figli e anche dallo stato di salute della donna.

La scelta è tra un approccio non invasivo e un approccio maggiormente invasivo.

Trattamenti non invasivi nei casi più lievi.

I trattamenti non invasivi vengono utilizzati perlopiù per le pazienti che non hanno una sintomatologia o che presentano sintomi lievi, o per le pazienti giovani e in buona salute desiderose di prole, per le quali quindi l’isterectomia (asportazione totale dell’utero) non è auspicabile. In questi casi, le opzioni sono:

Pessario o cerchiaggio.

Il pessario è un dispositivo che si inserisce in vagina, in genere ha una forma ad anello e serve per impedire meccanicamente la discesa dell’utero. Viene inserito dal medico ed è preferibile cambiarlo ogni 2-3 mesi. Dopo il posizionamento del pessario, la paziente avverte subito miglioramento dei sintomi, sebbene possa essere necessario più di un tentativo per inserirlo: ne esistono, infatti, di diverse dimensioni ed è importante scegliere quello della dimensione giusta, per evitare che possa dar fastidio alla paziente o ulcerare le mucose circostanti. E’ possibile continuare ad avere rapporti, in alcuni casi però le donne lamentano fastidi o dolore.

Esercizi di riabilitazione del pavimento pelvico.

In alcuni casi, di lieve entità, gli esercizi di Kegel possono essere utili non tanto per guarire, quanto per migliorare la sintomatologia ed evitare il peggioramento della malattia. Questi esercizi consistono nella contrazione volontaria dei muscoli del pavimento pelvico per migliorarne il tono (es. interrompere il flusso dell’urina durante la minzione aiuta a comprendere i muscoli interessati in modo da poterli contrarre). Vanno appresi da personale specializzato e fatti con costanza e impegno. Non richiedono grandi sforzi e possono essere eseguiti in vari momenti della giornata, a lavoro, in autobus o mentre ci si riposa sul divano. Sono importanti per prendere confidenza con il proprio pavimento pelvico e per migliorare anche la sintomatologia di una eventuale incontinenza associata al prolasso.

Uso di creme a base di estrogeni.

Se la causa della malattia è la progressiva carenza di estrogeni, è possibile consigliare alla paziente l’uso di pomate estrogeniche da applicare per 4-6 settimane, fino al miglioramento dei sintomi. In caso di menopausa, questa può essere vantaggiosa anche per migliorare la secchezza vaginale e altri disturbi legati al climaterio. In genere però i sintomi ricompaiono quando si smette l’uso della crema locale.

I rimedi chirurgici per i prolassi più gravi.

Un approccio maggiormente invasivo si usa per le pazienti che hanno una sintomatologia importante che rende difficile la vita di tutti i giorni e per le donne anziane che non hanno più possibilità di avere gravidanze.

La scelta spetta al medico in base ai desideri e alla condizione della paziente, cercando di attuare la tecnica meno traumatica possibile, personalizzando la terapia: il fine ultimo, infatti, deve essere il miglioramento della condizione della donna e della sua qualità di vita.

Le tecniche chirurgiche più usate sono:

Colpoisterectomia

Uno degli interventi maggiormente praticati è la colpoisterectomia, ossia l’asportazione dell’utero per via vaginale. Questo approccio prevede, oltre l’asportazione dell’organo, anche un rimodellamento delle pareti vaginali anteriore e posteriore, per garantire un sostegno valido anche per la vescica, il retto e la vagina stessa.

Puoi approfondire come si esegue e quando è necessaria l'isterectomia.

Questo tipo di intervento è radicale, per cui una volta asportato l’utero non è più possibile avere gravidanze. Per questo motivo è consigliato alle pazienti anziane, alle donne non desiderose di prole e a tutte coloro che presentano il prolasso di grado elevato e per le quali non sono applicabili le altre soluzioni.

L’intervento in breve.

Colpocleisi.

E’ un intervento in anestesia locale con il quale viene conservato l’utero e chiuso l’orifizio vaginale per evitare che il prolasso fuoriesca dai genitali. Non richiede un tempo chirurgico lungo e la ripresa è molto veloce, ma è un intervento abbastanza drastico dopo il quale non è possibile conservare la fertilità né è possibile avere rapporti sessuali. La paziente però torna in breve tempo ad una vita normale e può riprendere le sue attività in quanto la degenza non è lunga.

Se durante l’intervento viene coinvolta anche l’uretra, c’è un rischio aumentato per la paziente di sviluppare incontinenza urinaria.

Essendo un intervento che agisce anche sulla sfera sessuale della paziente, è consigliato alle donne che non hanno una vita sessuale attiva o che, a causa di problemi di salute, non possono sottoporsi ad interventi maggiormente invasivi e complicati.

Chirurgia ricostruttiva: isteropessi o Tecnica di Manchester.

Per chirurgia ricostruttiva si intendono una serie di interventi volti alla conservazione dell’utero e al miglioramento del prolasso con l’ancoraggio dell’organo con l’ausilio di protesi (reti) riassorbibili o non riassorbibili.

Nuove tecniche.

Da alcuni anni è nata una nuova tecnica mini-invasiva chiamata tension free vaginal mesh, introdotta in Italia nel 1997. La tecnica consiste nel posizionare benda sintetica che faccia da sostegno. E’ una tecnica poco invasiva che non comporta l’incisione della cute e che viene effettuata in anestesia locale.

La tecnica ha subito molte variazioni e l’ultima variante prevede una sola incisione in vagina ed un ottimo risultato anche dal punto di vista estetico.

Il post operatorio: la convalescenza.

A seconda del tipo di intervento, la degenza in ospedale sarà più o meno lunga. Ad ogni modo, in generale il post operatorio dura dai 3 ai 5 giorni e la dimissione avviene quando tutte le funzioni sono riprese, in special modo quella urinaria, che rassicura che non ci sono stati danni alla vescica.

Si consiglia di restare a riposo, evitando soprattutto di sollevare pesi e carichi, per dare al fisico e all'area trattata il tempo di guarire.

In particolare, è importante eliminare e limitare per le prime due o quattro settimane:

Potrebbero esserci delle perdite di sangue per circa due settimane e un po di dolore persistente, da tenere a bada con l’uso di antidolorifici.

Come detto, è importante rivedere l’alimentazione e mangiare cibi che favoriscono una corretta eliminazione delle feci (es. fibre), per evitare che ci sia stitichezza che possa causare sforzi eccessivi.

E’ inoltre importante bere due litri di acqua al giorno per aiutare ulteriormente la funzione urinaria.

I rischi della chirurgia.

I rischi connessi con interventi per correggere il prolasso sono:

Se la donna avrà il desiderio di una gravidanza e il prolasso non è di grado grave, sarà preferibile rimandare l’intervento fino a quando la gravidanza sarà terminata e la donna non ne avrà più desiderio. Nel frattempo è possibile evitare che peggiori praticando gli esercizi di Kegel di cui abbiamo parlato in precedenza e rivolgendosi a specialisti in grado di consigliare la terapia più adatta alla paziente.

Alcuni consigli per prevenire il prolasso uterino:

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